lunedì 31 marzo 2008

governo di guerra, di furti e di tasse

Governo di guerra, di furti e di tasse

È finita la legislatura di centro-sinistra durata due anni dopo cinque anni passati al purgatorio( ad arricchirsi nei poteri locali e alle spalle dei lavoratori con le loro cooperative e con i loro sindacati di stato).

Ritorna di moda il fascino per nulla discreto e tanto osceno del fascismo berlusconiano col suo falso populismo e il suo bastone che ci colpiva pesantemente mentre si cercava di mangiare la carota.

Di fatto non cambia niente. Destra e sinistra istituzionali sono portatori della stessa politica economica legata ai poteri forti, che si concretizza arricchendo i potenti e i loro servi e colpendo gli interessi delle classi lavoratrici e di chi lavoro non ha.

Privatizzazioni, disoccupazione e precariato, caporalato ed agenzie interinali, economia di guerra, furti sui nostri salari, scippo delle liquidazioni, aumento dell’età pensionabile, carovita selvaggio sono tutti regali del, primo governo prodi-d’alema-amato. La stessa politica che il governo berlusconi ha poi continuato e perfezionato. La stessa politica che prodi ha ripreso.

Ci raccontavano che il centro-sinistra non volesse più i precari per cui ne ha assunti pochi e fidati a tempo indeterminato mentre gli altri, senza una politica vera di occupazione, rischiano di non avere più nemmeno uno straccio di lavoro precario.

In compenso con un’arroganza senza limiti si prospetta una gigantesca operazione di servizio civile obbligatorio per ragazze e ragazzi.

Mano d’opera quasi gratuita per l’enorme baraccone dei centri collegati al potere della sinistra( quelli camuffati da organizzazioni umanitarie, culturali,sociali,ecc. fonte di inesauribili guadagni per i nostri “compagni”)

Quindi nulla è cambiato, anche a giudicare del pietoso e fumoso programma con cui prodi si è proposto agli elettori .

Come ci disse al telefono una lavoratrice di melfi: è lo stesso volto del potere. Solo che la destra ce lo metteva nel culo mentre la sinistra dopo avercelo di nuovo messo nel culo pretende anche che sorridiamo.

morire di lavoro:le statistiche non bastano

MORIRE DI LAVORO: LE STATISTICHE NON BASTANO.

Le statistiche sugli infortuni sul lavoro sono un rito. L’INAIL ed altri istituti nazionali “di prevenzione” mettono a disposizione, statistiche amorfe che serviranno massimo per scrivere un articolo, in terza o quarta pagina.

Qualche trafiletto sui giornali. Tutte confermano che l’anno precedente magari ci sono stati più incidenti e che il trend è in ribasso. Le affermazioni, se si va a cercare gli articoli apparsi sulla stampa l’anno precedente, sono sempre le stesse.

È sempre la stessa tiritera. ci sono i dati, ma non si riesce a capire le finalità dell’INAIL ed altri istituti se tutti gli anni immancabilmente le cifre confermano la gran tragedia degli infortuni sul lavoro. Quello che si discute è aria fritta e si arriva a considerare la responsabilità dei lavoratori come centrale.

Questa responsabilità è sancita dalla legge 626 ad personam. In realtà, i lavoratori devono mostrarsi sempre contenti e uniformarsi alle esigenze del padrone. Sicurezza e prevenzione sono due componenti costose. Meno si applica meno costa il lavoratore che non sarà mai in grado di contestare e se ci arriva è già pronto un licenziamento, magari non subito ma alla prossima crisi di produzione.

Molti sindacalisti spengono fuochi che bruciano con la morte dei lavoratori, non sono dispiaciuti, ma soltanto hanno bisogno delle statistiche per fare pressioni sulle istituzioni deputate alla prevenzione degli infortuni sul lavoro candidandosi a far rientrare la sicurezza nel costo complessivo del lavoro. Facendo crescere solo ulteriori gerarchie burocratiche.

Difficilmente l’economia capitalistica potrà rispettare le esigenze di sicurezza.

La compressione dei salari e degli stipendi non lascia molto per attuare piani di prevenzione.

Questa cifra in fondo non disegna miglioramenti riscontrabili o derivanti dalla 626. sono anni che si ripete la stessa liturgia. Mi piacerebbe sapere quanti datori di lavoro tengono in giusta considerazione le esigenze di prevenzione degli infortuni.

Ogni singolo lavoratore è ricattabile dal padrone e molto probabilmente la sicurezza è un elemento opzionabile che finisce per essere competenza degli stessi morti.

Sono morti. Viene monetizzata la perdita della vita o le invalidità. L’INAIL ha tutte le carte in regola, in fondo quattro lavoratori al giorno è una statistica accettabile, visto che al mondo c’è dei luoghi e paesi dove magari ce ne sono in gran quantità.

In italia tutti sono a conoscenza che questo dato è in difetto, che i morti e gli incidenti sul lavoro raggiungono cifre più alte.

È idea comune che i lavoratori meno costano meglio è. Molto spesso le statistiche non annoverano il lavoro nero, che come si sa è cresciuto e investe larghe fasce di lavoratori che lavorano senza i requisiti elementari di sicurezza.

Infatti, oltre il 25% del prodotto interno lordo è prodotto con il lavoro irregolare, nero e sommerso.

La sicurezza costa ed incide sul costo del lavoro che nella nostra società gerarchica divisa in classi e caste è determinante per garantire l’attuale sviluppo.

In questi anni sono state varate molte leggi che hanno attaccato direttamente il reddito dei lavoratori.

La prevenzione degli infortuni diviene una componente la cui realizzazione non deve avere costi aggiuntivi.

La legge feroce del profitto più comprime e più assicura guadagno.

Al lavoratore non resta che abbassare la guardia e rischiare l’incidente.

Mica tutti i posti di lavoro sono così, certi sono ancora peggio.

In italia ci sono quasi due milioni di clandestini, c’è la piaga del lavoro nero, del lavoro minorile che ultimamente è in ascesa. “ essere minore è vantaggioso perché il ministro della pubblica istruzione ha messo a disposizione giovani e lavoratori che lavorano pressoché gratuitamente, anzi, forse per fare una buona riforma bisogna dare la possibilità per i padroni di essere pagati per la formazione professionale.” Il precariato si sta espandendo a macchia d’olio. L’incidenza degli incidenti sul lavoro risulta molto più alta fra i precari.

Sappiamo che negli ultimi anni il cosiddetto pacchetto Treu e la legge Biagi hanno introdotto regole che provengono proprio dal lavoro irregolare.

Molti contratti sono a tempo determinato e l’inesperienza gioca un ruolo centrale sulle cause degli infortuni.

Ci sono i responsabili della sicurezza e molti sono stati i corsi di formazione sugli incidenti sul lavoro, molti sono tenuti appunto dai sindacati dove i formatori sanno bene che usciti da lì i rapporti con i datori di lavoro non rispecchieranno la legge.

La forza dei lavoratori acquista peso se c’è la solidarietà. Quando muore un servitore dello stato si grida alla notizia per giorni e giorni. Gli altri muoiono solamente di lavoro! Ogni giorno muoiono quattro lavoratori e molti di più s’infortunano, ma per loro la morte è passata incurante del fatto che erano a lavorare.

La mattina nessun lavoratore pensa di morire o rimanere invalido, perché lavorare non dovrebbe annoverare la propria morte.

Noi sappiamo e lo sappiamo bene che i lavoratori hanno meno garanzie di alcuni anni fa.

Chi dà lavoro ribadisce che l’obbiettivo primo è la produttività e il nuovo karma a cui si devono uniformare tutte le realtà produttive, è il principio di concorrenza.

Quale concorrenza? Quella tra i settori industriali italiani e la cina? O le molte realtà in espansione, tanto da garantire lo sfruttamento dei lavoratori a condizioni paurose.

La produzione è legata alla convenienza produttiva nei paesi emergenti e alle sacche di lavoro nero nei paesi più sviluppati.

Gli industriali trovano, bravissimi, per il made in italy, nuove opportunità di mercato.

Bisogna rincorrere l’aumento di produttività sia in casa che fuori. Ed effettivamente il mercato della forza lavoro si sposta secondo le esigenze produttive. Il mercato va dove la forza lavoro subisce l’abbattimento dei costi e garantisce l’aumento del guadagno. Merce e lavoratori sono sullo stesso piano. Gridiamo forte la nostra opposizione alle scelte che oggi sembrano inevitabili per garantire il lavoro, gridiamo forte che la sicurezza è necessaria e non monetizzabile.

È necessaria una presa di coscienza che scavalchi i confini e porti i lavoratori a tenere in conto che nessuno restituisce la vita. Ogni lavoratore ucciso è la prova che il capitalismo ricerca il profitto nelle forme e nei luoghi più vantaggiosi alla produzione.

Ogni lotta portata avanti per migliorare le condizioni di lavoro è una lotta per la salvaguardia dei diritti degli uomini e delle donne ed anche contro la mostruosità del lavoro minorile.

La lotta per il rispetto delle più elementari condizioni di sicurezza sul lavoro passa per la presa di coscienza dei lavoratori stessi. Nessuna delega ai padroni e ai sindacati all’ombra del profitto.

sindacato e dirigenti sindacali

Sindacato e dirigenti sindacali

Il sindacato è un insieme di persone associate per trattare e risolvere i problemi che le accomunano; per difendere i comuni interessi. Quindi, il sindacato dei lavoratori è formato da tutti i prestatori d’opera alle dipendenze di un padrone e sono degli sfruttati. Quando in essi nasce la coscienza del proprio stato di servitù, lottano solidalmente per raggiungere lo scopo di liberarsi dalla catena del salario e di essere essi stessi i diretti beneficiari del frutto del proprio lavoro.

Il sindacato è una fraterna unione solidale legata da un sentimento umano di mutuo appoggio per tutti coloro che aspirano alla libertà.

Ma i padroni, per la difesa dei loro interessi particolari, hanno coltivato degli individui che, adducendo diversi argomenti politici, religiosi, corporativi ecc. , hanno spezzettato l’unità solidale degli sfruttati in tante conventicole, a volte in conflitto tra loro per le diverse impostazioni della lotta da parte dei vari dirigenti i quali-per aggregare più tesserati- millantano l’egemonia della propria “chiesa dei miracoli”. E con tale bugiarda pretesa hanno convinto i loro seguaci a guardare con diffidenza verso le proposte di altri raggruppamenti. Col cronicizzarsi di tante divisioni distintive, il sindacato ha perso la sua identità dello scopo fondamentale, che spinge tutti gli sfruttati a lottare per la loro emancipazione. Mentre, nell’attuale, gli aderenti alle varie e diverse aggregazioni pseudosindacali, aspettano le direttive del proprio segretario generale o del loro caporale di sezione, che spiegano come devono comportarsi nelle varie circostanze, senza che i relativi iscritti possano vagliare se ci sia concordanza con le altre indicazioni; senza constatare se l’esito della loro azione ha ottenuto soddisfazione alle richieste poste, e senza possibilità di intervento critico per eventuali azioni sbagliate o senza esito favorevole per i lavoratori dipendenti.

Il sindacato dei lavoratori, com’è stato inteso alla sua origine, è-deve essere- un’associazione di sfruttati, coscienti e responsabili, che prescindono e rispettano ogni opinione o tendenza religiosa, corporativa ecc., considerando che tutti gli associati devono mirare allo stesso scopo che è quello di liberarsi dallo sfruttamento padronale e dalla dipendenza economica, per trovare insieme, armonicamente, la soddisfazione di tutti i loro bisogni, individuali e sociali, con quanto possono ricavare dal proprio lavoro, autogestito.

La classe padronale è un avanzo di barbarie, che si perpetua sulla violenza fisica e morale della gente soggetta, ed è sostenuta da leggi acconce all’attuale sistema sociale ingiusto ed autoritario, difesa dalla classe servile dei politici e dei sindacalisti mestieranti, dai religiosi e dai corporativisti.

Tutti insieme hanno infranto l’unità sindacale dei lavoratori dipendenti per preservare i privilegi che anche questa triste genia gode per i servizi resi al padrone.

mercadona- lo sciopero continua!!!!!!!!!

Riporto ora un’intervista ad un lavoratore del supermercato mercadona di sant sadurnì d’anoia( spagna). La lotta per la difesa e il miglioramento delle condizioni di lavoro in questa catena di supermercati spagnoli è stata molto impegnativa ed è durata un paio d’anni (2006 e 2007), ma ha dato risultati proficui per le lavoratrici e i lavoratori che l’hanno realizzata.

Ho ritenuto interessante questa intervista per alcuni motivi fondamentali:

-1: la mobilitazione riguarda il settore del commercio, una delle categorie considerate generalmente come le meno combattive. Gli scioperi di mercadona in spagna e la lotta dell’ortomercato di milano in italia dimostrano che l azione autogestita dei lavoratori per migliorare le proprie condizioni è possibile e, se condotta con decisione e coscienza dei lavoratori impegnati, dà risultati importanti.

-2: mercadona è una catena di supermercati molto diffusa e ben vista, che basa la sua immagine pubblicitaria sul modello della “ qualità totale” verso il prodotto, il cliente, il lavoratore e l’ambiente.

L’impostazione della propaganda pubblicitaria è simile a quella che utilizza la catena commerciale ikea.

-3: le precarizzazioni diffusissime in ikea , l’utilizzo del lavoro quasi gratuito degli stagisti, le esternalizzazioni crescenti sono vissute come un fortissimo disagio diffuso.nessun problema è insormontabile quando c’è la volontà di reagire al precariato che ci fanno subire. Si tratta solo di trovare delle strategie di intervento che riescano ad aggregare persone in un’azienda come la nostra, caratterizzata da un turn-over fortissimo del personale dipendente.

-4: la mobilitazione e la lotta è iniziata in una sola sede ad opera di un piccolo gruppo di lavoratori.

Questa è una lezione da imparare contro chi della rassegnazione ha fatto la propria bandiera e contro chi fantastica che, senza sindacati, senza rsu combattive, senza masse infinite di persone, nessuna lotta è possibile. Mercadona e l’ortomercato ci dimostrano esattamente il contrario. Non è obbligatorio essere delegati sindacali o sindacalisti di professione per indire uno sciopero!!!

L’unica lotta che si perde è quella che non si vuole fare, e nessuno tutelerà i nostri interessi se non noi stessi, non scordiamocelo mai!!!!!!

Cos’è mercadona?

Mercadona qui in spagna è una catena di supermercati molto diffusa e ben vista, in mano a Joan Roig, uno degli uomini più ricchi del paese.

Questa catena di supermercati basa la sua immagine pubblicitaria sul modello della “qualità totale”, modello secondo il quale per l’azienda la cosa più importante è il cliente, seguito dai lavoratori, dai fornitori, dalla società e per ultimo dal capitale, strategia di marketing derivante da una catena di supermarket irlandesi.

Capite come tutto questo non sia vero, dato che noi lavoratori siamo sfruttati e, come tutte le aziende, ciò che conta è il profitto.

Una delle caratteristiche di mercadona è che non fa pubblicità sui giornali e in televisione perché si è creata un’immagine di azienda attenta al cliente e al lavoratore e utilizza il passaparola del cliente come pubblicità.

L’azienda nel suo complesso vanta 56 mila lavoratori a tempo indeterminato in tutta spagna, dei quali però, ogni giorno, 5/6 se ne vanno a causa di infortuni o problemi di salute conseguenti al lavoro molto faticoso e alle condizioni generali di lavoro( mancanza di igiene, non rispetto delle norme di sicurezza, maltrattamenti.)

Come sono le condizioni di lavoro all’interno di mercadona?

Il settore che maggiormente soffre le cattive condizioni di lavoro e igieniche è il settore della logistica, i magazzini come il nostro di Sant Sadurnì D’Anonia.

Nel nostro caso le ore lavorative sono sette e mezzo al giorno, che per sei giorni fanno 45 ore a settimana, con turni di notte; quello che chiediamo è che ci venga considerato come orario di lavoro la mezz’ora del pasto, perché ci rubano 12 ore al mese. il giorno libero, per chi lavora di notte, e le vacanze sono decise dall’azienda in base alla produzione.

Mercadona pretende che noi spostiamo almeno 18 tonnellate a settimana e promettono premi di produttività per chi supera questo quantitativo.

Per aumentare la competitività tra gli operai appendono liste settimanali con la quantità di merce spostata da ognuno di noi, e sono così riusciti a creare un sistema di controllo tra gli operai stessi.

Inoltre medici aziendali non riconoscono le infermità dovute dal troppo lavoro e i lavoratori sono costretti a improvvisare raffreddori e costipamenti con i loro medici generici, per avere qualche giorno di malattia.

Nel nostro magazzino- dov’è iniziato lo sciopero- lavorano 700 persone di cui per la grande maggioranza siamo immigrati sudamericani.

È una casualità la forte presenza di immigrati sudamericani?

Ovviamente no. Sapete che vanno a prendere la gente direttamente in sudamerica? In base a dei contratti governativi tra spagna e equador/ rep.domenicana, mercadona (ma anche corte ingles e mc donald’s spagna) sono stati agevolati a importare mano d’opera da questi paesi in spagna, promettendogli un lavoro a tempo indeterminato. Ci convincono per il contratto a tempo indeterminato dal primo giorno, con gli 860 euro al mese, che possono aumentare…( quando in equador uno stipendio medio si aggira intorno ai 160 dollari), ma una volta arrivati qui ci fanno firmare un altro contratto in cui ci sono 6 mesi di prova ( quando anche in spagna dovrebbero essere 15 giorni) e se non raggiungiamo la produzione minima non riceviamo alcun aumento. Poi dobbiamo pagarci il viaggio, trovare casa a Barcellona- la città più cara di spagna- ,arrivando in una terra dove sul luogo di lavoro non ci parlano nemmeno in spagnolo, perché qui si parla catalano, e siamo anche considerati “diversi” per questo.

Appena arrivati ci hanno prestati 800 euro per le prime spese, che poi abbiamo dovuto restituire con i primi stipendi. Del gruppo di 30 persone partite dall’ecuador, di cui facevo parte, solo 6 sono ancora al centro logistico di mercadona, gli altri hanno cercato altri lavori.

Pensate che mercadona da sola ha importato, direttamente, 2000 persone dal sudamerica; perché farlo quando in spagna ci sono 1 milione di immigrati irregololari?

Com’è nata la sezione della cnt-e mercadona?

A causa delle tremende condizioni di lavoro, in sette, tutti sudamericani ci siamo rivolti a uno dei sindacati maggioritari, comisiòn obrera, che ci ha detto di aspettare le prossime elezioni sindacali. Figuriamoci, se avessimo dovuto aspettare un anno e mezzo non avremmo più una schiena o ce ne saremmo andati prima.

Ci siamo rivolti alla cnt-e perché sapevamo che un anno prima aveva avuto un conflitto con mercadona a huelva( Andalusia).

Su consiglio dell’avvocato della cnt-e, i primi 15 giorni non comunicammo la formazione all’interno dell’azienda per avere il tempo di organizzarsi e così si aggiunsero a noi altri lavoratori e siamo diventati 25.

E i rapporti con gli altri sindacati?

I sindacati maggioritari che partecipano alle elezioni sindacali, all’interno di mercadona e più generalmente in spagna, fanno parte della classe dirigente dell’azienda, percepiscono del denaro per l’attività sindacale e non sono dalla parte dei lavoratori. Nel nostro caso i delegati sindacali della ugt, il sindacato socialista, sono gli stessi capi che firmano i nostri licenziamenti.

Non so se lo sapete, ma in spagna è normale che direttori e quadri dirigenti siano i delegati sindacali dell’azienda/settore.

Sono talmente inutili che i nostri colleghi non sapevano nemmeno dell’esistenza di un contratto nazionale e tantomeno del nuovo contratto firmato dall’ugt nel 2006, peggiore del primo.

Alla fine avete deciso di scioperare, quando e come avete preso la decisione?

Come vi abbiamo detto il 3 marzo abbiamo comunicato all’impresa la creazione della sezione sindacale cnt e la reazione fu esagerata; il mio superiore mi chiese se ero pazzo a portare la cnt nell’azienda perché gli avrebbero bruciato camion e negozi.

Ma il peggio venne dopo, mi sospesero 7 giorni e mentre ero a casa licenziarono due dei compagni più attivi e per questo abbiamo indetto un primo sciopero di 10 giorni.

Il 22 marzo abbiamo avuto un incontro con l’impresa che si interruppe alle 4 di notte (dalle 10 di sera) al rifiuto dell’impresa di riammettere i licenziati.noi avevamo già deciso, prima di entrare, che uno dei punti fermi era la riammissione dei compagni licenziati. Un fatto da raccontare di quella sera è che quando siamo arrivati nell’albergo dove si teneva la riunione abbiamo trovato un tavolo con cibo e bevande alcoliche, credevano che ci saremmo ubriacati-visto che siamo sudamericani- e così l’incontro sarebbe andato a loro favore, ma noi abbiamo deciso, da subito, di chiedere solo acqua e di non mangiare niente.

La mattina dopo iniziava lo sciopero a oltranza, era il 23 marzo. Il primo giorno di sciopero c’erano più di 50 lavoratori del nostro magazzino e per alcuni giorni abbiamo fatto dei picchetti davanti alla sede di saint sadurnì d’anonia.da marzo a ora abbiamo fatto più di 70 manifestazioni tra Barcellona e i paesi intorno.

Come vi siete organizzati materialmente per affrontare lo sciopero?

Abbiamo costituito una cassa di solidarietà a cui hanno partecipato lavoratori di tutta spagna, enon solo.

La cassa di solidarietà però non riusciva a soddisfare il necessario per tutti; perché 20 scioperanti significano 20 famiglie da mantenere. Ognuno di noi prendeva il minimo per vivere, secondo le proprie esigenze, spesso però alcuni compagni non prendevano nulla, ed è capitato a molti di noi di non pagare l’affitto o il mutuo ecc..

Mercadona ci ha offerto anche dei soldi, perché finissimo lo sciopero e ce ne andassimo dall’azienda: 300 mila euro perché lo sciopero finisse subito( circa 17000 euro a testa).

Con questi soldi molti di noi avrebbero potuto tornare ai propri paesi e vivere meglio di come viviamo qui; ma questo sciopero non lo stiamo facendo per soldi, ma per garantirci migliori condizioni di lavoro e per rivendicare dei diritti basilari.

Durante lo sciopero, avete compiuto anche delle azioni?

Di azioni ne abbiamo fatte più di 70 nella sola provincia di Barcellona, le più importanti, almeno per le conseguenze sono state tre.

La prima ha avuto come obbiettivo l’ispettorato del lavoro. Dal momento che non venivano a fare un’ispezione, abbiamo deciso di incatenarci ai cancelli della loro sede e siamo rimasti incatenati per 30 ore consecutive, ma alla fine abbiamo ottenuto un’ispezione la mattina successiva.

Noi non siamo rimasti del tutto soddisfatti perché, ovviamente, gli ispettori non hanno voluto vedere tante cose, d’altra parte l’azienda si è presa una multa perché violava alcune norme di sicurezza, ed entro alcuni mesi deve mettersi in regola.

L’azione eclatante, che ci ha dato più visibilità sui media, l’abbiamo fatta all’inizio di agosto. Ci siamo crocefissi di fronte a un supermercato mercadona e siamo stati tutto il giorno nel piazzale di questo negozio parlando con la gente che andava a fare la spesa e spiegandogli le nostre motivazioni e la lotta che stiamo portando avanti.

Questa azione ha dato molta vitalità allo sciopero perché i compagni hanno lavorato giorni per costruire le croci e preparare il materiale e quando la mattina dal negozio hanno chiamato il segretario nazionale della cnt, noi gli abbiamo detto che saremmo stati lì tutto il giorno.

Un’altra azione di grande impatto è stata quando abbiamo costruito un carcere di cartone e siamo andati davanti ad un altro supermercato mercadona lanciando il messaggio che mercadona è uguale a guantanamo. Quando facciamo queste azioni, la parte teatrale attira la gente, e poi noi andiamo a spiegare e a raccontare la nostra lotta.

Per un’azienda come mercadona queste azioni sono più dannose dello sciopero stesso, poiché vanno a minare la cara buena dell’azienda coi loro clienti.

E COSA PENSATE DI FARE DOPO 6 MESI DI SCIOPERO A OLTRANZA?

Lo sciopero a oltranza stava diventando difficile da sostenere. Molti di noi non ce la facevano più a tirare avanti e al lavoro si diceva che eravamo stati licenziati; così, a metà settembre, siamo tornati al lavoro e abbiamo deciso di indire uno sciopero parziale dalle 22 di tutti i giovedì alle 22 dei venerdì, poiché il venerdì è la giornata in cui la gente va a fare la spesa settimanale e i negozi vendono di più.

Questa strategia è stata vincente poiché molti lavoratori, che non si potevano permettere uno sciopero a oltranza, si sono potuti unire.

Nella prima settimana di lavoro, dopo più di 6 mesi di sciopero, non è successo niente, sembrava che tutto fosse normale, e anche i capi erano gentili con noi; ma già nella seconda settimana il clima è tornato quello di sempre e mi hanno licenziato con accuse molto gravi di intimidazioni nei confronti di una coordinatrice di un supermercato, per le quali tra poco avrò un processo.

Ora, dei 22 scioperanti, siamo 6 ad essere stati licenziati.

Mercadona non vuole dei lavoratori sindacalizzati perché nei prossimi anni il settore logistico verrà meccanizzato con un taglio del personale del 50%, come già sta succedendo alla seat che sta licenziando 600 lavoratori.

bollettarios chi siamo noi

BOLLETTARIOS

CHI SIAMO NOI

Con l’intento di pervertire le cause dell’ingiustizia sociale.

Benvenuti nel mondo dello spazio precario, giovani risorse umane, carinissime matricole postmoderne, graziosissimi senza reddito continuativo, intraprendenti digiunatori a chiamata, efficientissimi collaboratori a progetto col piatto ripartito.

Mai così tante persone al lavoro!!!

Di cosa vi lamentate canaglie irriconoscenti?!

Non lo sapevate?

Il neoliberismo ve l’avevano annunciato i magi, madonna flessibilità vi moltiplica i pesci, i pani e le ore… e babbo precario? Beh…in ogni pacco regalo c’è un buon lavoro.

Molte grazie nonno capitalismo!!!

CHI SIAMO NOI

Gente comune, lavoratori, studenti, disoccupati, migranti…e chi più ne ha più ne metta.

Bollettarios!!! Sindacalisti di strada, sindacalisti nomadi, migratori, libertari…ah!

Se abbiamo un capo?no. siamo tutti capi.

Se abbiamo dirigenti, funzionari, burocrati? No.

Se trattiamo sotto il tavolo con il padrone? No.

Ok,ok, eccoci. Il secolo ha dato un giro di boa:

il sindacalismo ribelle del futuro contro il medioevo postindustriale del presente!

E che direbbe il vecchio joe hill se fosse ancora al mondo?

“ non è proprio necessario che si porti il lutto, organizziamoci!...noi saremo tutto!!!”

saremo ovunque, saremo tutto.

Buona fortuna working class!

97 tazzine di caffè

97 tazzine di caffè

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109,54 Euro, lordi ed in tre rate,
– 10,39 % di INPS, 29,57 % di IRPEF nazionale, 1,5 % di IRPEF Reg. e Comun. = 67,94 Euro
netti ( cioè l’equivalente di circa 97 caffè ) dilazionati in 30 mesi e solo 267 Euro di Una Tantum .

Per un operaio di 3° Categ. la paga base oraria è passata da 7,29 a 7,59 Euro, aumentando di 30 Cent. LORDI.

E QUESTO, LO CHIAMANO AUMENTO !

Fim, Fiom, Uilm, Fismic e l’ambigua Ugl ( buon ultima, con la “polverina” nazionale che rilascia interviste pro-Veltroni e nomina il segretario reg. senza il congresso ) vorrebbero il consenso ad un CONTRATTO che prevede anche :


- una validità non più per due anni , ma per 30 mesi ;
- l’aumento delle comandate da 4 a 5 turni, senza impedimenti per i giorni festivi e per le notti ;
- il furto di un PAR trasformato in giornata lavorativa da recuperare l’anno seguente ;
- durata del lavoro interinale e precario vario, per ben 44 mesi ;
- nessuna riforma dell’ inquadramento unico e maggiori difficoltà per passare dal 3° al 4° livello .


I poteri dei Delegati per la Sicurezza restano com’erano, cioè quasi simbolici .

L’aumento della durata del Contratto a trenta mesi, fa da apripista al tentativo di smantellamento del Contratto Nazionale .

Con il carburante alle stelle, gli aumenti delle bollette ed un carovita irrefrenabili, con un aumento
del costo della vita di oltre 600,oo Euro all’ anno per famiglia, ai Metalmeccanici si da l’elemosina di 27,18 Euro l’anno ( in 2,5 anni = 67,94 ) facendo rimanere I SALARI DEI METALMECCANICI ITALIANI, I PIÙ BASSI D’ EUROPA, come ha riconosciuto la Banca d’ Italia .
L’ ultimo rapporto di Mediobanca ha riconosciuto che negli ultimi 15 anni i profitti
degli industriali sono aumentati dell’ 8 % annuo ed i salari solo dello 0,4 % annuo .
A questo contratto di fame bisogna dire NO,
non mugugnando e lamentandosi senza poi andare a votare ( perché tanto le cose restano sempre uguali !)
MA ANDANDO A METTERE UN CHIARO SEGNO SULLA SCHEDA .

Chi pensa di dissentire non votando, sappia che aiuta solo a far vincere il SI .

NOI VI CHIEDIAMO DI VOTARE e DI VIGILARE .

Una vittoria del NO alla SATA ridarà speranza a tutti i metalmeccanici italiani .
Una vittoria del NO in Italia farà riaprire la trattativa per aumenti più sostanziosi .

Chiediamo, con forza, che fra gli addetti al voto ci siano anche i rappresentanti del NO per evitare che di notte nelle urne cadano “accidentalmente” schede prevotate ( come è già successo ) .

Caro lavoratore,
votando SI esprimeresti il tuo consenso a chi ti condanna a questa condizione .
Al REFERENDUM sul Contratto V O T A N O

P.S. : La Fiat, contro Alternativa, da sola non ce la fa. Prima si è fatta aiutare dai bergamaschi ed ora dai napoletani antigeometri.

Alternativa Sindacale Melfi

(USI)

brevi riflessioni sul precariato

BREVI RIFLESSIONI SUL PRECARIATO

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La precarietà del lavoro non è questione solo dell'oggi: già nel secondo dopoguerra, la riconversione dell'industria bellica si tradusse in massima parte in chiusura di stabilimenti e licenziamenti di migliaia di lavoratori. Solo la ripresa economica di fine anni ' 50 - inizi anni 60 invertì parzialmente la tendenza. Ma già un decennio dopo la "crisi energetica " dette l'avvio a processi di riduzione del personale in molti grandi aziende: processi che nonostante alcune tutele (come la Cassa Integrazione Guadagni ) si accentuarono negli anni successivi. Addirittura la CIG straordinaria e il trattamento di mobilità si configurarono come piena libertà di licenziamento.
Tuttavia è solo negli anni ' 90 che la precarietà del rapporto di lavoro viene assunta a sistema, a normalità, codificata e regolamentata da svariati provvedimenti che hanno visto il benevolo silenzio del sindacalismo concertativo e di stato.
Lo smantellamento della grande industria e la conseguente parcellizzazione del lavoro ha cambiato in modo sostanziale il panorama del mondo industriale, mutando tempi, modi e luoghi di lavoro, costringendo le giovani generazioni ad un approccio totalmente diverso all'attività lavorativa.
Fino alla metà degli anni ' 60, l'avvio al lavoro, pur non facile, era favorito dalle condizioni economiche e da strutture sociali specifiche, quali scuole ed altre istituzioni, tra le quali è bene ricordare le scuole professionali e le scuole che i grandi gruppi industriali allestivano per formare i futuri lavoratori da cooptare nelle proprie officine.
Per chi si affacciava al mondo del lavoro era questa la prospettiva di un inserimento durevole nell'ambito del gruppo o dell'azienda. Questo non significa che fossero "tempi facili". Occorrevano lotte dure per conquistare diritti e condizioni di vita migliori, ma soprattutto era necessario che le conquiste ottenute lo fossero per tutti e venissero rispettate. Si usciva dalle scuole di apprendistato per essere inseriti nella fabbrica, per diventare la forza operativa, funzionale alla produzione di beni ed all'accumulo del "capitale", ma si potevano acquisire capacità lavorative e qualità creative e queste erano facilmente dimostrabili ed al tempo stesso si acquisiva la consapevolezza di un ruolo, non marginale, nel processo produttivo e una dignità sociale dentro e fuori la fabbrica.
Oggi tutto ciò non è più possibile. Il lavoro è "parcellizzato", le grandi strutture industriali sono disgregate o dismesse: di conseguenza i giovani lavoratori non hanno più la certezza dell'inserimento nel mondo produttivo, sono isolati e divisi e quindi nell'impossibilità di confrontarsi con chi vive le stesse condizioni. In altri termini, non possono unirsi né possono avanzare una pur minima rivendicazione.
Le recenti riforme e l'istituzione di diverse tipologie di contratto di lavoro (a progetto, a chiamata, interinale, etc.) hanno reso possibile l'attuazione di nuove e più subdole forme di sfruttamento "legalizzato". L'introduzione delle Agenzie di Lavoro Interinale e quelle di outplacement hanno aggravato la situazione, rendendo i giovani lavoratori privi del senso della solidarietà, senza difesa e costretti a chinare il capo o a scendere a compromessi di fronte allo strapotere padronale.
A questo punto dobbiamo porci la domanda se è possibile fare qualche cosa e se la risposta è affermativa, che cosa possiamo fare. Se pensiamo che sia possibile intervenire in questo ambito, possiamo pensare ad alcune strategie, che però debbono tener conto della particolarità della situazione. In primo luogo occorre fare informazione, per aiutare questi lavoratori a capire quali sono i loro diritti, far sentire la nostra solidarietà, produrre materiali audiovisivi sulle condizioni del lavoro precario.
E' indispensabile, ove sia possibile, dar vita a strutture di solidarietà per questi lavoratori, strutture che non siano estremamente burocratizzate, ma agili ed efficienti per poterli sostenere nei momenti più critici della loro vita lavorativa.
Al momento le soluzioni praticabili sono quelle di istituire una rete di supporto legale con l'ausilio di avvocati che interagiscano tra loro e che diano ai lavoratori tutta l'assistenza di cui hanno bisogno. Altro punto importante è quello dell'informazione: occorre produrre e diffondere materiali riguardanti i contratti collettivi di lavoro, cenni sulle norme vigenti, norme sulla sicurezza e sulla salute e sulla tutela ambientale.
Questo materiale dovrebbe essere ampiamente diffuso e gli argomenti che sono trattati sui documenti andrebbero approfonditi.
Faccio un esempio: se si produce un opuscolo che tratta del contratto di lavoro di una qualsivoglia categoria, sarebbe utile approfondire gli aspetti più significativi di quel settore o di quel contratto. Se si produce del materiale informativo riguardante la tutela degli infortuni sul lavoro, sarebbe utile che a questo seguisse una trattazione delle varie malattie professionali.
Altre soluzioni potrebbero essere quelle della ricerca e della creazione di punti di aggregazione o di comuni interessi culturali. E' possibile scegliere tra le strutture sindacali ed i Centri Sociali, oppure orientarsi sui Gruppi d'Acquisto, ma vi sono altre possibilità, anche se forse possono apparire incongrue con l'argomento che stiamo trattando. In particolare mi riferisco a gruppi culturali di vario genere, ma penso specificatamente a gruppi di lettura e discussione collettiva di libri o anche alle vecchie Società di Mutuo Soccorso e alle Università Popolari, dove esistono ancora.
E' chiaro che tutto questo non può da solo risolvere i problemi di chi è precario, ma è altrettanto vero che chi vive questa particolare condizione non soffre solo per la propria condizione di lavoro, ma anche per avere la precarietà come misura della propria vita. Quindi essere "precario" significherà non poter socializzare, non poter fruire in modo adeguato del proprio tempo libero, non poter leggere, ascoltare musica, andare a teatro.
Tutte queste limitazioni sono grandi, ma rappresentano anche la possibilità, per noi, di poter intervenire e dare un segnale positivo, la possibilità di dar vita a piccole realtà alternative alla società massificata. Non sostengo che sarà un percorso facile né breve, ma è pur sempre una possibilità per costruire una cultura libera, alla portata di quanti, in questa società, hanno meno peso politico e sociale.


Ignazio Lavagna
USI Genova