lunedì 31 marzo 2008

brevi riflessioni sul precariato

BREVI RIFLESSIONI SUL PRECARIATO

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La precarietà del lavoro non è questione solo dell'oggi: già nel secondo dopoguerra, la riconversione dell'industria bellica si tradusse in massima parte in chiusura di stabilimenti e licenziamenti di migliaia di lavoratori. Solo la ripresa economica di fine anni ' 50 - inizi anni 60 invertì parzialmente la tendenza. Ma già un decennio dopo la "crisi energetica " dette l'avvio a processi di riduzione del personale in molti grandi aziende: processi che nonostante alcune tutele (come la Cassa Integrazione Guadagni ) si accentuarono negli anni successivi. Addirittura la CIG straordinaria e il trattamento di mobilità si configurarono come piena libertà di licenziamento.
Tuttavia è solo negli anni ' 90 che la precarietà del rapporto di lavoro viene assunta a sistema, a normalità, codificata e regolamentata da svariati provvedimenti che hanno visto il benevolo silenzio del sindacalismo concertativo e di stato.
Lo smantellamento della grande industria e la conseguente parcellizzazione del lavoro ha cambiato in modo sostanziale il panorama del mondo industriale, mutando tempi, modi e luoghi di lavoro, costringendo le giovani generazioni ad un approccio totalmente diverso all'attività lavorativa.
Fino alla metà degli anni ' 60, l'avvio al lavoro, pur non facile, era favorito dalle condizioni economiche e da strutture sociali specifiche, quali scuole ed altre istituzioni, tra le quali è bene ricordare le scuole professionali e le scuole che i grandi gruppi industriali allestivano per formare i futuri lavoratori da cooptare nelle proprie officine.
Per chi si affacciava al mondo del lavoro era questa la prospettiva di un inserimento durevole nell'ambito del gruppo o dell'azienda. Questo non significa che fossero "tempi facili". Occorrevano lotte dure per conquistare diritti e condizioni di vita migliori, ma soprattutto era necessario che le conquiste ottenute lo fossero per tutti e venissero rispettate. Si usciva dalle scuole di apprendistato per essere inseriti nella fabbrica, per diventare la forza operativa, funzionale alla produzione di beni ed all'accumulo del "capitale", ma si potevano acquisire capacità lavorative e qualità creative e queste erano facilmente dimostrabili ed al tempo stesso si acquisiva la consapevolezza di un ruolo, non marginale, nel processo produttivo e una dignità sociale dentro e fuori la fabbrica.
Oggi tutto ciò non è più possibile. Il lavoro è "parcellizzato", le grandi strutture industriali sono disgregate o dismesse: di conseguenza i giovani lavoratori non hanno più la certezza dell'inserimento nel mondo produttivo, sono isolati e divisi e quindi nell'impossibilità di confrontarsi con chi vive le stesse condizioni. In altri termini, non possono unirsi né possono avanzare una pur minima rivendicazione.
Le recenti riforme e l'istituzione di diverse tipologie di contratto di lavoro (a progetto, a chiamata, interinale, etc.) hanno reso possibile l'attuazione di nuove e più subdole forme di sfruttamento "legalizzato". L'introduzione delle Agenzie di Lavoro Interinale e quelle di outplacement hanno aggravato la situazione, rendendo i giovani lavoratori privi del senso della solidarietà, senza difesa e costretti a chinare il capo o a scendere a compromessi di fronte allo strapotere padronale.
A questo punto dobbiamo porci la domanda se è possibile fare qualche cosa e se la risposta è affermativa, che cosa possiamo fare. Se pensiamo che sia possibile intervenire in questo ambito, possiamo pensare ad alcune strategie, che però debbono tener conto della particolarità della situazione. In primo luogo occorre fare informazione, per aiutare questi lavoratori a capire quali sono i loro diritti, far sentire la nostra solidarietà, produrre materiali audiovisivi sulle condizioni del lavoro precario.
E' indispensabile, ove sia possibile, dar vita a strutture di solidarietà per questi lavoratori, strutture che non siano estremamente burocratizzate, ma agili ed efficienti per poterli sostenere nei momenti più critici della loro vita lavorativa.
Al momento le soluzioni praticabili sono quelle di istituire una rete di supporto legale con l'ausilio di avvocati che interagiscano tra loro e che diano ai lavoratori tutta l'assistenza di cui hanno bisogno. Altro punto importante è quello dell'informazione: occorre produrre e diffondere materiali riguardanti i contratti collettivi di lavoro, cenni sulle norme vigenti, norme sulla sicurezza e sulla salute e sulla tutela ambientale.
Questo materiale dovrebbe essere ampiamente diffuso e gli argomenti che sono trattati sui documenti andrebbero approfonditi.
Faccio un esempio: se si produce un opuscolo che tratta del contratto di lavoro di una qualsivoglia categoria, sarebbe utile approfondire gli aspetti più significativi di quel settore o di quel contratto. Se si produce del materiale informativo riguardante la tutela degli infortuni sul lavoro, sarebbe utile che a questo seguisse una trattazione delle varie malattie professionali.
Altre soluzioni potrebbero essere quelle della ricerca e della creazione di punti di aggregazione o di comuni interessi culturali. E' possibile scegliere tra le strutture sindacali ed i Centri Sociali, oppure orientarsi sui Gruppi d'Acquisto, ma vi sono altre possibilità, anche se forse possono apparire incongrue con l'argomento che stiamo trattando. In particolare mi riferisco a gruppi culturali di vario genere, ma penso specificatamente a gruppi di lettura e discussione collettiva di libri o anche alle vecchie Società di Mutuo Soccorso e alle Università Popolari, dove esistono ancora.
E' chiaro che tutto questo non può da solo risolvere i problemi di chi è precario, ma è altrettanto vero che chi vive questa particolare condizione non soffre solo per la propria condizione di lavoro, ma anche per avere la precarietà come misura della propria vita. Quindi essere "precario" significherà non poter socializzare, non poter fruire in modo adeguato del proprio tempo libero, non poter leggere, ascoltare musica, andare a teatro.
Tutte queste limitazioni sono grandi, ma rappresentano anche la possibilità, per noi, di poter intervenire e dare un segnale positivo, la possibilità di dar vita a piccole realtà alternative alla società massificata. Non sostengo che sarà un percorso facile né breve, ma è pur sempre una possibilità per costruire una cultura libera, alla portata di quanti, in questa società, hanno meno peso politico e sociale.


Ignazio Lavagna
USI Genova

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