lunedì 31 marzo 2008

morire di lavoro:le statistiche non bastano

MORIRE DI LAVORO: LE STATISTICHE NON BASTANO.

Le statistiche sugli infortuni sul lavoro sono un rito. L’INAIL ed altri istituti nazionali “di prevenzione” mettono a disposizione, statistiche amorfe che serviranno massimo per scrivere un articolo, in terza o quarta pagina.

Qualche trafiletto sui giornali. Tutte confermano che l’anno precedente magari ci sono stati più incidenti e che il trend è in ribasso. Le affermazioni, se si va a cercare gli articoli apparsi sulla stampa l’anno precedente, sono sempre le stesse.

È sempre la stessa tiritera. ci sono i dati, ma non si riesce a capire le finalità dell’INAIL ed altri istituti se tutti gli anni immancabilmente le cifre confermano la gran tragedia degli infortuni sul lavoro. Quello che si discute è aria fritta e si arriva a considerare la responsabilità dei lavoratori come centrale.

Questa responsabilità è sancita dalla legge 626 ad personam. In realtà, i lavoratori devono mostrarsi sempre contenti e uniformarsi alle esigenze del padrone. Sicurezza e prevenzione sono due componenti costose. Meno si applica meno costa il lavoratore che non sarà mai in grado di contestare e se ci arriva è già pronto un licenziamento, magari non subito ma alla prossima crisi di produzione.

Molti sindacalisti spengono fuochi che bruciano con la morte dei lavoratori, non sono dispiaciuti, ma soltanto hanno bisogno delle statistiche per fare pressioni sulle istituzioni deputate alla prevenzione degli infortuni sul lavoro candidandosi a far rientrare la sicurezza nel costo complessivo del lavoro. Facendo crescere solo ulteriori gerarchie burocratiche.

Difficilmente l’economia capitalistica potrà rispettare le esigenze di sicurezza.

La compressione dei salari e degli stipendi non lascia molto per attuare piani di prevenzione.

Questa cifra in fondo non disegna miglioramenti riscontrabili o derivanti dalla 626. sono anni che si ripete la stessa liturgia. Mi piacerebbe sapere quanti datori di lavoro tengono in giusta considerazione le esigenze di prevenzione degli infortuni.

Ogni singolo lavoratore è ricattabile dal padrone e molto probabilmente la sicurezza è un elemento opzionabile che finisce per essere competenza degli stessi morti.

Sono morti. Viene monetizzata la perdita della vita o le invalidità. L’INAIL ha tutte le carte in regola, in fondo quattro lavoratori al giorno è una statistica accettabile, visto che al mondo c’è dei luoghi e paesi dove magari ce ne sono in gran quantità.

In italia tutti sono a conoscenza che questo dato è in difetto, che i morti e gli incidenti sul lavoro raggiungono cifre più alte.

È idea comune che i lavoratori meno costano meglio è. Molto spesso le statistiche non annoverano il lavoro nero, che come si sa è cresciuto e investe larghe fasce di lavoratori che lavorano senza i requisiti elementari di sicurezza.

Infatti, oltre il 25% del prodotto interno lordo è prodotto con il lavoro irregolare, nero e sommerso.

La sicurezza costa ed incide sul costo del lavoro che nella nostra società gerarchica divisa in classi e caste è determinante per garantire l’attuale sviluppo.

In questi anni sono state varate molte leggi che hanno attaccato direttamente il reddito dei lavoratori.

La prevenzione degli infortuni diviene una componente la cui realizzazione non deve avere costi aggiuntivi.

La legge feroce del profitto più comprime e più assicura guadagno.

Al lavoratore non resta che abbassare la guardia e rischiare l’incidente.

Mica tutti i posti di lavoro sono così, certi sono ancora peggio.

In italia ci sono quasi due milioni di clandestini, c’è la piaga del lavoro nero, del lavoro minorile che ultimamente è in ascesa. “ essere minore è vantaggioso perché il ministro della pubblica istruzione ha messo a disposizione giovani e lavoratori che lavorano pressoché gratuitamente, anzi, forse per fare una buona riforma bisogna dare la possibilità per i padroni di essere pagati per la formazione professionale.” Il precariato si sta espandendo a macchia d’olio. L’incidenza degli incidenti sul lavoro risulta molto più alta fra i precari.

Sappiamo che negli ultimi anni il cosiddetto pacchetto Treu e la legge Biagi hanno introdotto regole che provengono proprio dal lavoro irregolare.

Molti contratti sono a tempo determinato e l’inesperienza gioca un ruolo centrale sulle cause degli infortuni.

Ci sono i responsabili della sicurezza e molti sono stati i corsi di formazione sugli incidenti sul lavoro, molti sono tenuti appunto dai sindacati dove i formatori sanno bene che usciti da lì i rapporti con i datori di lavoro non rispecchieranno la legge.

La forza dei lavoratori acquista peso se c’è la solidarietà. Quando muore un servitore dello stato si grida alla notizia per giorni e giorni. Gli altri muoiono solamente di lavoro! Ogni giorno muoiono quattro lavoratori e molti di più s’infortunano, ma per loro la morte è passata incurante del fatto che erano a lavorare.

La mattina nessun lavoratore pensa di morire o rimanere invalido, perché lavorare non dovrebbe annoverare la propria morte.

Noi sappiamo e lo sappiamo bene che i lavoratori hanno meno garanzie di alcuni anni fa.

Chi dà lavoro ribadisce che l’obbiettivo primo è la produttività e il nuovo karma a cui si devono uniformare tutte le realtà produttive, è il principio di concorrenza.

Quale concorrenza? Quella tra i settori industriali italiani e la cina? O le molte realtà in espansione, tanto da garantire lo sfruttamento dei lavoratori a condizioni paurose.

La produzione è legata alla convenienza produttiva nei paesi emergenti e alle sacche di lavoro nero nei paesi più sviluppati.

Gli industriali trovano, bravissimi, per il made in italy, nuove opportunità di mercato.

Bisogna rincorrere l’aumento di produttività sia in casa che fuori. Ed effettivamente il mercato della forza lavoro si sposta secondo le esigenze produttive. Il mercato va dove la forza lavoro subisce l’abbattimento dei costi e garantisce l’aumento del guadagno. Merce e lavoratori sono sullo stesso piano. Gridiamo forte la nostra opposizione alle scelte che oggi sembrano inevitabili per garantire il lavoro, gridiamo forte che la sicurezza è necessaria e non monetizzabile.

È necessaria una presa di coscienza che scavalchi i confini e porti i lavoratori a tenere in conto che nessuno restituisce la vita. Ogni lavoratore ucciso è la prova che il capitalismo ricerca il profitto nelle forme e nei luoghi più vantaggiosi alla produzione.

Ogni lotta portata avanti per migliorare le condizioni di lavoro è una lotta per la salvaguardia dei diritti degli uomini e delle donne ed anche contro la mostruosità del lavoro minorile.

La lotta per il rispetto delle più elementari condizioni di sicurezza sul lavoro passa per la presa di coscienza dei lavoratori stessi. Nessuna delega ai padroni e ai sindacati all’ombra del profitto.

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